Paolo contro i giudeocristiani: il cristianesimo delle origini ad Antiochia

Nel cuore dell’Antiochia del I secolo d.C., il confronto tra la comunità primitiva e Paolo di Tarso scava nelle origini del cristianesimo. Come queste tensioni ideologiche hanno plasmato la fede e il messaggio di vita eterna? Una riflessione sulle influenze cruciali che hanno definito le fondamenta della religione cristiana.

La situazione storico-religiosa di Antiochia – intorno alla metà del I secolo d.C. terza città dell’impero romano per numero di abitanti dopo Roma e Alessandria -, è fondamentale per comprendere le origini della religione cristiana, perché fu la prima comunità a identificarsi come tale (At 11,26). Come molte città investite dalla parola di Gesù di Nazareth, essa si ritrovò divisa al suo interno da linee di pensiero contrastanti, date dal fatto che la comunità primitiva, non avendo ancora perso il suo legame con l’ebraismo, era ancora lontana dal trovare espressione adeguata in un culto proprio. A differenza delle altre comunità, lo scontro in atto nella città siriaca è destinato ad avere un peso diverso dato che tra i suoi attori principali vi è Paolo di Tarso, considerato in seguito il fondatore del cristianesimo – colui che ha fatto divenire l’ebraismo “alla maniera di Gesù” vero e proprio cristianesimo –, ma partito nell’ambito della comunità primitiva da una posizione che si può definire di vero e proprio “outsider”. Paolo, convertitosi nel famoso episodio della caduta da cavallo nel suo viaggio verso Damasco, aveva una posizione completamente in contrasto con quella della comunità gerosolimitana, definibile come «una setta escatologica all’interno del giudaismo». L’apostolo, infatti, trovava inutile il continuare a seguire la legge di Mosè, visto che «nessun uomo è giustificato per le opere della legge, ma solo mediante la fede in Gesù Cristo» (Gal 2,16), entrando così in aperto contrasto con i giudeocristiani che ritenevano invece fondamentale che venissero seguite anche dai convertiti pagani la circoncisione, l’alimentazione e le altre pratiche mosaiche. Il Concilio di Gerusalemme, intorno al 49 d.C., aiutò a definire la questione arrivando ad un compromesso ripartendo la missione in due: i gerosolimitani e Pietro per i giudeocristiani circoncisi e Paolo per i pagani, i quali non si sarebbero dovuti circoncidere ma avrebbero dovuto semplicemente astenersi dal mangiare cibi non legali e seguire poche altre pratiche. Le asperità di convivenza non vennero effettivamente superate, lo stesso Paolo entrò in polemica con Pietro, in una visita di quest’ultimo alla comunità paolina antiochea, a causa della sua ambiguità nel rispettare le posizioni paoline. La componente escatologica del messaggio di Cristo, la resurrezione, è un altro dei grandi punti su cui c’è un sostanziale scontro tra le idee gerosolimitane e quelle paoline. Infatti, mentre la comunità giudeocristiana poneva la resurrezione dopo la fine dei tempi, Paolo sembra porla invece nel momento dell’accettazione del messaggio di Cristo, una vera e propria resurrezione in vita (che presuppone quindi anche una morte in vita).

In 2 Cor. 6,2 Paolo afferma che “è adesso il giorno”, una volta ascoltata la parola annunciata si è messi davanti alla necessità di decidere, poiché l’evento di salvezza non è presente altrove che nella parola che annuncia, che interpella, che esige, che promette. Ciò significa anche che l’evento di salvezza si compie ogni volta che viene annunciata la parola: per attivare l’evento occorre una bocca e delle orecchie, ciò lo rende autenticamente un evento storico. Nell’incontro con Cristo avviene quindi il giudizio, ma non per mano di chi annuncia, non è Cristo il giudicatore, ma per la parola che viene annunciata, è lei che giudica e fa selezione, o più precisamente fa auto-selezionare coloro che decidono di credere, poiché Paolo considera la morte non come “fatticità”, ma come disposizione soggettiva. Ciò vuol dire che la vita non è un conto in banca da tenere in attivo col rispetto di rigide norme e da prelevare nel momento in cui avverrà la resurrezione dopo la fine dei tempi, ma è la situazione in cui si può decidere, attraverso un atto di fede in qualcosa (che attenzione, può essere verso Cristo e il suo kerygma, verso Allah, verso Geova, verso chiunque… magari anche verso noi stessi), di uscire dal proprio tepore mortifero di tutti i giorni che ci vede abulici voyeur del tempo per “rinascere in vita”. È una chiamata alle armi.

Simone Di Pellegrino, Lumi Online Journal

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