La recente sentenza della Corte di Giustizia Europea afferma il diritto delle donne vittime di violenza da Paesi Terzi all’Unione Europea al riconoscimento dello status di rifugiate e alla protezione sussidiaria. La decisione, basata sulla Convenzione di Istanbul, è rivoluzionaria
La Corte di Giustizia Europea, con una recente sentenza, ha affermato che le donne vittime di violenza provenienti da Paesi Terzi all’Unione Europea hanno diritto al riconoscimento dello status di rifugiate, così come all’accesso alla protezione sussidiaria. La Direttiva UE 95/2011, che disciplina i requisiti per l’attribuzione di questi strumenti di protezione, deve essere interpretata in conformità con la Convenzione di Istanbul, la quale obbliga i 27 Stati Membri a considerare la violenza basata sul genere come una forma di persecuzione.
La normativa stabilisce che lo status di rifugiato debba essere concesso a coloro che, nel loro paese extracomunitario, siano vittime di persecuzione per motivi quali la fede religiosa, la nazionalità, il credo politico, la razza o l’appartenenza a un determinato gruppo sociale. La decisione dei Giudici europei si basa sul fatto che le donne che, a causa del loro genere, rischiano di essere sottoposte a violenze sessuali, fisiche e psicologiche, compresi gli abusi in ambito domestico o familiare, devono essere considerate a pieno titolo un gruppo sociale.
Nella sentenza si specifica che “qualora le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, esse possono beneficiare dello status di protezione sussidiaria, in particolare se corrono un rischio effettivo di essere uccise o di subire violenze“.
Il ricorso oggetto di questa importante pronuncia giurisprudenziale è stato presentato da una donna curda di nazionalità turca che ha chiesto protezione internazionale in Bulgaria. Costretta al matrimonio dalla famiglia e vittima della violenza del marito, ha dimostrato ai giudici che rischierebbe la vita a causa della sua decisione di separarsi dal suo abusatore, nel caso in cui fosse costretta a ritornare in Turchia.
Elisa Marino, Lumi Online Journal