Nel racconto di Ridley Scott, la celebre epopea cinematografica attinge dalla visione dell’antichità, ma la realtà dello sport e degli intrattenimenti nell’antica Roma rivela sfaccettature diverse e più complesse. Gli aspetti economici, politici ed etici si intrecciavano in un contesto dove gladiatori e atleti erano venerati, ma le dinamiche di potere e onore ne sfumavano l’immagine romantica.
Il celebre capolavoro di Ridley Scott che tutti conosciamo si fonda principalmente su una visione cinematografica dell’antichità. Purtroppo, molto spesso la realtà è molto più “noiosa” rispetto alle trasposizioni audiovisive.
Nell’antichità – come già accennato in altri articoli su Lumi -, lo Sport era concepito come un vero e proprio culto dell’umano e per questo gli atleti erano venerati come semidei. Per quanto riguarda la Grecia antica, questo era espresso dal legame tra le Olimpiadi e il culto dell’Olimpo, monte dove si pensava risiedessero gli dèi. Nell’antica Roma, composta da una popolazione più pratica, si ragionava in funzione degli interessi economici. In sostanza, nel Colosseo, si tenevano le più disparate prestazioni artistiche e/o atletiche. Gli spettacoli che venivano realizzati erano veri e propri investimenti da veri e propri magnati, uomini potenti che si aspettavano un reale ritorno economico. Per questo motivo la condanna di morte alla fine degli scontri tra gladiatori era rarissima e avveniva con il simbolo del pollice alzato, il quale rappresentava l’estrazione della daga dal fodero per uccidere l’avversario, e non con il pollice in giù, che è invece una falsa credenza popolare. Per salvare lo sconfitto, infatti, si mostrava il pugno chiuso con il pollice all’interno delle altre quattro dita, per comunicare “rinfodera la spada”. Nei rari casi in cui un gladiatore doveva essere giustiziato, il magnate, parte lesa dalla decisione di morte, veniva risarcito profumatamente.
Fino a qui, il racconto di Ridley Scott può sembrare abbastanza plausibile. La vera differenza è che nell’antica Roma la politica era un elemento fondamentale per mantenere la “poltrona” e, cosa più importante, la vita da eventuali congiure. Gli imperatori stessi preferivano non rischiare malcontenti tra la popolazione e tra le alte sfere della classe politica romana. Oltretutto, il valore di un gladiatore era pressoché inestimabile e questo comportava un’oggettiva difficoltà nel risarcire l’investitore. Ovviamente è anche da considerare che molto spesso gli spettacoli erano svolti con armi “di scena”, cioè non realmente contundenti e il vincitore era già predeterminato tramite una sorta di copione realizzato dal promotore stesso dell’intrattenimento.
In riferimento alla scena del film di Ridley Scott in cui l’imperatore lesiona il protagonista prima dello scontro finale, ci porta a considerare un ulteriore aspetto. Le pratiche sportive dell’antichità erano vincolate da un forte senso di onore, infatti si hanno testimonianze, fin dall’antica Grecia, di pratiche volte a combattere il doping, un vantaggio immeritato di un individuo rispetto ad un altro che comportava una vera e propria damnatio memoriae degli atleti colti sul fatto.
È vero anche che se ne “il Gladiatore”, Massimo Decimo Meridio, fosse stato un semplice atleta o un performer che portava introiti per le sue prestazioni atletico-coreografiche, sicuramente oggi non si parlerebbe di un capolavoro cinematografico che ha fatto battere i cuori della maggior parte di noi.
Nicolò Loreti, Lumi Online Journal