Le origini del presepe: dal suggestivo scenario di Greccio nel 1223 alle interpretazioni iconografiche che hanno plasmato la nostra visione della Natività. Un viaggio tra vangeli, apocrifi e simbolismi che delineano il mistero della Sacra Famiglia.
Era il dicembre del 1223 quando S. Francesco propose agli abitanti di Greccio, un paese in provincia di Rieti, di rievocare la nascita del bambino Gesù tramite il primo presepe vivente della storia. Il santo sosteneva di aver bisogno di “vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie ad un neonato” (Tommaso da Celano, in Fonti Francescane, n.ri 467-469).
Il presepe di Greccio non era lontano da quello che conosciamo ai nostri giorni, solo più semplice: prevedeva Gesù bambino in una mangiatoia con un bue e un asino. Nonostante ciò, l’iconografia completa della natività con anche Maria, Giuseppe e
i Re Magi era già conosciuta.
Ma è davvero descritto così lo scenario nei vangeli?
Innanzitutto bisogna tener conto che, tra i vangeli canonici, solamente quelli di Matteo e Luca parlano dell’infanzia di Gesù, ma anche tra le due narrazioni vi sono alcune differenze. In entrambi i Vangeli è un angelo ad annunciare la gravidanza di
Maria. Eppure, nel primo ne vediamo uno apparire a Giuseppe per rassicurarlo sulla fedeltà della moglie, che, anzi, porta in grembo il figlio di Dio; mentre nel secondo l’annuncio è quello tradizionale dell’angelo Gabriele a Maria. I Magi vengono menzionati solamente in Matteo; per Luca a testimoniare la nascita di Gesù arrivano dei pastori. Dei Magi non è specificato il numero e soprattutto sono dei semplici astrologi, non dei re con conoscenze astrologiche. Come sappiamo, portavano in dono oro, incenso e mirra, tre doni che indussero a pensare che anche essi fossero in tre.
Maria e Giuseppe vengono menzionati in entrambi i Vangeli, così come il loro viaggio a Betlemme e la nascita del bambino nella città. In Matteo si dice che abbiano alloggiato in una struttura, mentre in Luca è testimoniata la nascita nella stalla e la deposizione di Gesù bambino in fasce nella mangiatoia. Presepium o praesepe in latino significa, infatti, proprio “mangiatoia”.
E il bue, l’asino e la grotta?
Di loro non c’è traccia nei vangeli canonici, bisogna ricorrere al Vangelo apocrifo di Giacomo – opera greca scritta nel VI secolo – e a quello del cosiddetto Pseudo-Matteo, un’opera latina anonima scritta tra la fine del VI secolo e l’inizio del VII. Entrambi collocano la nascita di Cristo in una grotta dove Maria partorisce mentre
Giuseppe è alla ricerca di una levatrice.
Il concetto di nascita in una grotta di un Messia, di qualcuno inviato da una divinità, è presente poi in altre religioni come ad esempio nel mitraismo dove Mitra, messia del Sole, è nato dalla roccia di una grotta.
Un bue ed un asino vengono menzionati nel Vangelo dello Pseudo-Matteo, ma non con il fine di riscaldare la Sacra Famiglia, semplicemente come animali presenti in quell’area. Essi entrarono probabilmente nella tradizione grazie all’esegesi dei predicatori.
Nel corso dei secoli l’immagine della natività come la conosciamo noi si è consolidata, divenendo un tema iconografico ricorrente su sarcofagi funerari cristiani, coperte di evangeliari e, infine, sotto forma di miniature che adornano a Natale le nostre case.
Sara De Gennaro, Lumi Online Journal