Continuiamo il nostro approfondimento sul mondo degli Hikikomori attraverso le parole di Giuseppe, ventenne pugliese, che ci ha raccontato delle sue difficoltà e delle ansie quotidiane, fino alla sua scelta di rinchiudersi volontariamente in casa. Una narrazione di fobia sociale, nata da un disprezzo crescente verso il genere umano.
Grazie al sito Fobiasociale.com, un forum che permette il dialogo sicuro tra persone con problematiche diverse, ma in comune con altri iscritti, abbiamo ascoltato la storia di Giuseppe, un ventenne pugliese che ha scelto volontariamente di rinchiudersi in casa. “Tutto è iniziato alle scuole medie”, inizia a raccontare Giuseppe, “dove la mia incapacità di difendermi dai bulli mi ha reso una vittima sempre più vulnerabile. Il loro divertimento era prendermi in giro, causandomi forte ansia, palpitazioni, tachicardia e tremore ogni volta che mi trovavo davanti a loro. Era la paura di essere deriso ancora e ancora, ogni giorno“.
Giuseppe racconta che al liceo non è stato più vittima dei bulli, ma i segni del passato gli impediscono di stabilire rapporti duraturi. Si ritrova spesso da solo, con l’unica compagnia dei cugini più piccoli.
Dopo la scuola, sembra aprirsi uno spiraglio; prende la patente e inizia ad uscire i sabati sera. Entra a fatica nel mondo degli adulti come barman, ma il lavoro non è adatto a lui: “Ero incapace di lavorare, dialogare, di tenere ‘botta’ con i clienti”. Fuggito anche dal lavoro, Giuseppe si allontana da casa per un periodo, portando la nostra storia poco prima della pandemia da coronavirus. “Prima della quarantena ho intrapreso due percorsi terapeutici, uno privato e uno pubblico. Mi sono stati diagnosticati diversi disturbi mentali, come il disturbo evitante di personalità, il disturbo psicotico e quello bipolare ed ossessivo. Per un po’ ho preso le medicine, ma ho smesso, non sentivo che mi apportavano alcun beneficio psicofisico”.
All’inizio dell’emergenza coronavirus, come molti altri, Giuseppe coglie l’opportunità per rinchiudersi nelle quattro mura della sua cameretta. Non esce da mesi e consuma i pasti in camera. La quarantena ha influito notevolmente su di lui, offrendo l’occasione unica di barricarsi definitivamente in casa, con tutte le scusanti del caso. Scherzosamente, Giuseppe chiama la sua stanza “il suo covo“: “Già da piccolo si avvertivano i primi sintomi del bisogno di reclusione, passavo le estati e le intere giornate invernali a giocare con la PlayStation in camera. Ero interrotto solo dalla scuola e dalle uscite con i miei genitori”. I genitori non comprendono subito il motivo di questa scelta; erano arrabbiati e preoccupati per lui, ma hanno iniziato ad essere più comprensivi dopo vari avvenimenti, fra cui il riconoscimento dei suoi disturbi e la fuga sopracitata.
Giuseppe descrive la sua giornata tipo:
“Le mie giornate sono monotone nella maniera più assoluta. Mi sveglio e passo l’intera giornata immerso tra TV, Internet e videogiochi. I miei rapporti con le persone sono per lo più virtuali e con gente che non conosco personalmente. Uso spesso i forum per comunicare, ma non mi farei mai vedere su Facebook o Instagram“.
Storie come la sua sono molte, tutte diverse ma che portano allo stesso risultato. Persone potenzialmente talentuose come Giuseppe, che aveva aspirazioni da calciatore, barman o, perché no, anche come modello. Ha sempre curato il suo aspetto, ma prima di rinchiudersi, era importante per lui apparire sempre al meglio. Al momento, le aspirazioni sono svanite, il mondo esterno le ha annichilite: “Non sono mai stato un tipo deciso o con il pugno fermo. La mia stessa fobia sociale mi ha impedito di avere il coraggio di fare o dire le cose, sono sempre cresciuto nella paura di essere scoperto o sospettato dei miei errori, dei miei disturbi. Solo il pensiero che le persone si rendessero conto della mia incapacità, mi faceva star male, quindi ho iniziato a fare sempre meno attività. Non avrei sopportato altre prese in giro, quindi semplicemente mollavo. I miei disturbi psichici hanno fatto tutto il resto: mi hanno causato depressione, sbalzi d’umore, misantropia e gesti compulsivi, come rituali ed ossessioni”.
Nella sua casa, Giuseppe ha trovato la salvezza di cui aveva bisogno: “Ho le mie cose, tutto ciò di cui ho bisogno, non devo dar conto a nessuno e posso tenermi lontano dalle pressioni sociali e dai pericoli. Ho creato il mio mondo parallelo, dove mi sento al sicuro. Fino a qualche mese fa, ogni tanto uscivo, frequentavo una cooperativa e in questi mesi avrei avuto la possibilità di un nuovo lavoro. La quarantena durante la pandemia (da Covid-19, n.d.r.) mi ha portato alla decisione, al momento definitiva ed irreversibile, di troncare tutti i contatti con il mondo esterno. In questo periodo, dopo una lunga fase di rassegnazione e finalmente anche di benessere, ho sviluppato un forte disprezzo verso il genere umano. Io li ho sempre visti, ma loro non hanno mai visto me“.
Angelica Irene Giordano, Lumi Online Journal
Una opinione su "“Ho creato il mio mondo parallelo, lì dove mi sento al sicuro”. La storia di Giuseppe, costretto a vivere da Hikikomori"