Esploriamo il percorso dei mini-arbitri di pallacanestro, giovani protagonisti nel mondo sportivo, dove la formazione, il sentirsi parte di una squadra e la resilienza diventano fondamentali per affrontare le pressioni emotive e contribuire alla crescita personale. Un’analisi approfondita del contesto e del sostegno sociale che forma una solida base per il loro sviluppo, non solo come arbitri, ma anche come individui.
La professione di arbitro nelle federazioni sportive rappresenta un contesto lavorativo perlopiù precoce. Questa esperienza può essere un laboratorio di resilienza per i ragazzi e le ragazze che stanno maturando? Sì, in squadra è possibile. Per entrare nel mondo arbitrale è necessario svolgere un corso teorico e pratico e superare il test finale. Nella maggior parte dei casi, vi partecipano ragazzi e ragazze in fase adolescenziale, anche se l’adesione è aperta a tutti. Esiste un settore apposito per gli arbitri, che prende il nome di mini-arbitri, il quale comprende i giovani tra i 13 e i 17 anni.
Dal momento in cui il Comitato Italiano Arbitri riconosce come “designabile” il mini-arbitro, le pressioni emotive diventano rilevanti. Sebbene sia buona norma far svolgere amichevoli preparatorie, le gare federali, anche le più innocue, possono rivelarsi momenti difficili anche in relazione al delicato sviluppo della personalità del mini-arbitro. Per questo motivo, spesso, è presente nelle prime gare un arbitro d’esperienza di supporto.
È importante sottolineare che nella pallacanestro gli arbitri sono due più un ufficiale di campo. All’aumentare del livello della lega, aumentano i componenti sia degli ufficiali di campo che degli arbitri (fino a 3). Purtroppo, è solito che per molte competizioni giovanili non si riesca a garantire la coppia arbitrale e, di conseguenza, è presente un arbitro in singolo.
È evidente che, per la natura delle competizioni sportive, la pressione emotiva a cui è sottoposta la figura dell’arbitro è forte. Questa non è necessariamente conseguenza dell’arretratezza che, purtroppo, diversi fatti di cronaca sportiva ci riferiscono, ma per la possibilità di influenzare l’esito di una prestazione sportiva e quindi la possibilità di vanificare sforzi, obiettivi e desideri altrui, oltre che, in alcuni casi, determinare un possibile danno economico per le associazioni o società sportive che vi partecipano. Tutto ciò destabilizza la piramide delle necessità di Maslow del mini-arbitro, andando ad intaccare il bisogno di stima e di appartenenza, arrivando addirittura a toccare la sicurezza. È noto dalle cronache che vi sono state aggressioni agli arbitri, anche minorenni.
Per queste motivazioni, è presente un forte senso di appartenenza al gruppo provinciale e regionale, che fornisce sempre un supporto motivazionale ed emotivo al mini-arbitro che muove i primi passi nella professione. Le esperienze di team-building, di formazione e di semplice amicizia sono ricorrenti in ogni gruppo provinciale, i quali divengono vere e proprie comunità. Questo essenziale meccanismo sociale di contrapposizione tra pressione e supporto si pone come fondamento della crescita corretta del mini-arbitro anche fuori dal campo e porta a sviluppare una consolidata resilienza in tenera età.
Nicolò Loreti, Lumi Online Journal