Ritratto di Marosia Castaldi. L’Artista oltre l’Immaginazione

Alla riscoperta di Marosia Castaldi, artista poliedrica tra scrittura, pittura e scultura, scomparsa nel recente 2019. Il suo stile impegnativo sfida i lettori a esplorare le profondità della sua narrativa e ad affrontare l’arte come un’esperienza unica e personale.

“Marosia Castaldi (Napoli, 1951 – Milano, 2 novembre 2019) è stata una scrittrice, pittrice e scultrice italiana“. Questa è l’unica frase presente nel primo paragrafo della pagina Wikipedia dedicata all’artista napoletana, segue un breve indice, altri tre striminziti paragrafetti in cui si riassume sia la sua vita girovaga passata per la maggior parte negli Stati Uniti, sia l’elenco dei premi che non ha vinto (è stata finalista al premio Mondello opera prima, al premio Bergamo e allo Strega), e la sezione finale “Opere” che è invece, rispetto al resto, piuttosto lunga (ed elenca solo i libri di narrativa e poesia, non i quadri, non le statue).

Insomma, pur essendo stata durante la sua carriera molto prolifica, per giunta in più di una disciplina, e pur essendo morta da pochissimi anni, Marosia Castaldi è praticamente sconosciuta; cosa non scontata dato che ha pubblicato più di un titolo con Feltrinelli: Per quante vite, Dentro le mie mani le tue, Dava fine alla tremenda notte, o il bellissimo Che chiamiamo anima. Neanche cercare su Internet dà risultati soddisfacenti per chi ha voglia di approfondire questa figura, nel corso degli anni pochissimi si sono interessati e ancora di meno ne hanno scritto (a parte Antonella Cilento, grande firma della sezione napoletana di Repubblica, che la ricorda sempre tra i grandi esempi della letteratura italiana a cavallo tra II e III millennio).

Ebbene, partendo dal presupposto che qui si è di fronte a una grande scrittrice, perché Marosia Castaldi sembra destinata a sparire nell’anonimato? Semplice, perché i suoi testi sono talmente impegnativi da far venire le vertigini e l’ansia da prestazione a chiunque, anche al lettore che detiene il titolo di “più forte del globo terracqueo”. La sua scrittura non scende a compromessi: punteggiatura che non rispetta le norme (ci si può trovare di fronte sia a elenchi lunghi quasi una pagina in cui non fa capolino neanche una virgola, sia a frasi in cui l’assenza di punteggiatura comporta una ambiguità irrisolvibile voluta e cercata); una storia che molto spesso non ha una linearità, anzi, alcune scene si ripetono moltissime volte con piccole o grandi variazioni dando la sensazione di una ciclicità fallata; scene surreali in momenti in apparenza casuali e così discorrendo.

Mettersi a leggere Marosia Castaldi richiede grande forza di volontà, un buon atto di fede e la disponibilità ad accettare un po’ di frustrazione. Non sono libri che si possono leggere solo per intrattenimento, anche perché sono testi che rientrano nella narrativa solo per la forma in prosa, e in realtà dovrebbero essere più saggiamente accostati alla poesia, alla musica e all’arte astratta o surrealista, cioè a tutte quelle forme artistiche che non “dicono” ma “suggeriscono”.

Queste possono essere paragonate alle macchie di Rorschach: attraverso ciò che ognuno di noi ci vede dentro può comprendere un po’ di più di se stesso; più che essere una finestra verso l’Altro, queste sono degli specchi rivolti verso l’Io con cui si rapportano ogni volta. Anche se è sempre interessante comprendere quale sia il messaggio che l’autore vuole esprimere attraverso il proprio lavoro, per questa tipologia di opere non è davvero così importante coglierlo in maniera precisa, anzi. Nel momento in cui vengono date delle linee guida attraverso ripetizioni, punti salienti, differenze evidenti, anomalie varie, sta poi al fruitore riempire del proprio significato ciò che si trova innanzi.

Le opere della Castaldi è come se fossero un vestito di cui si possono comprendere le reali forme solamente una volta indossato, e il bello è che per ogni singolo corpo che lo vestirà la resa non sarà mai la stessa, sembrerà sempre qualcosa di differente: si adegua ogni volta a chi ne fa uso. E per quanto in generale si può affermare che ciò è intrinseco in ogni singolo lavoro artistico, le opere che danno così poche coordinate, che “suggeriscono” appunto, sono quelle che sfruttano appieno questa caratteristica dell’arte: è come riflettersi in un cucchiaio, la cui funzione principale è di essere un utensile con cui mangiare, o in uno specchio, creato per essere usato in quel modo. Sì può fare, ma con risultati molto differenti.

Simone Di Pellegrino, Lumi Online Journal

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